La speranza di una America migliore nell’episodio finale del podcast di Springsteen e Obama

Nell’episodio finale del podcast Renegades: Born in the USA, Bruce e Obama hanno chiuso le loro conversazioni cercando di dare risposte all’interrogativo posto fin dalla prima puntata, su come ripristinare la fede nella promessa dell’America: “Come raccontare una nuova storia che unisca il nostro Paese, che sia fedele ai nostri ideali più alti e allo stesso tempo faccia un resoconto onesto dei nostri punti deboli? – si chiede infatti Obama- Non è una cosa facile in questi tempi cinici, specialmente quando abbiamo migliaia di media e piattaforme Internet che hanno capito come arricchirsi  alimentando la rabbia e il risentimento delle persone. In qualche modo, però, entrambi crediamo che una storia del genere sia ancora lì da raccontare e che le persone in tutto il paese ne siano affamate. Siamo convinti che, nonostante tutti i nostri disaccordi, la maggior parte di noi desidera un’America più giusta e compassionevole. Un’America a cui tutti sentano di appartenere”.

Bruce Springsteen ha parlato delle origini di “Born in the U.S.A.” e di come sia stato erroneamente considerato un brano patriottico. Racconta di aver iniziato a lavorare a questa canzone dopo aver incontrato e fatto amicizia con due veterani del Vietnam, tra cui Ron Kovic, autore del libro “Born on the Fourth of July”. In un surreale scherzo del destino, Springsteen ricorda di aver conosciuto casualmente Kovic in un motel di Los Angeles poche settimane dopo aver letto il suo libro. Questi portò Springsteen in un centro di veterani a Venice, dove trascorse diversi pomeriggi ad ascoltare i racconti e le esperienze di altri veterani, che ispirarono la canzone. Per quanto riguarda il titolo, anche questo ha un’origine particolare: lo sceneggiatore Paul Schrader aveva inviato a Springsteen una sceneggiatura intitolata Born in the USA [N.B. Questa storia è riportata dettagliatamente in P. Jappelli e G. Scognamiglio, Like a Vision- Bruce Springsteen e il Cinema, Napoli 2015].

“Questa è una canzone sul dolore, la gloria, la vergogna dell’identità e del luogo”, afferma Springsteen. “Si tratta di un quadro complesso del paese. Il nostro protagonista è qualcuno che è stato tradito dalla sua nazione e tuttavia si sente ancora profondamente legato al paese in cui è cresciuto”. Dopo che Obama ha notato come la canzone sia “considerata iconica e patriottica”, sebbene non fosse l’intenzione di Springsteen, Bruce ha aggiunto: “Penso che il motivo per cui la canzone sia stata considerata così, è innanzitutto  per la sua potenza, e poi perché le sue immagini erano  fondamentalmente americane, ma in realtà è un brano che ti chiede di tenere in mente contemporaneamente due idee contraddittorie: che si può essere molto critici nei confronti della tua nazione e allo stesso tempo molto orgoglioso della tua nazione. E questo è qualcosa su cui si discute ancora oggi. “

Bruce, riguardo il rapporto con i suoi fans, ha osservato: “Abbiamo un pubblico molto più vasto all’estero e so che la gente è rimasta affascinata dalla storia americana, dai film, dalla musica per molto tempo. Persiste una profonda fascinazione al riguardo. La E Street band trasmette dramma, potere emotivo, corsa alla libertà, valori di uguaglianza, comunità, cameratismo, ricerca di divertimento. Abbiamo provato a creare un suono che fosse grande quanto il paese stesso. Celebriamo ciò che è meglio del paese e critichiamo i fallimenti del paese. E penso che le persone d’oltremare rispettino tutto questo.” Bruce ha anche parlato dei suoi eroi, Dylan, James Brown, Aretha Franklin, e ovviamente Elvis, raccontando della volta che, dopo averlo visto in televisione, afferrò la scopa e, fingendo di suonarla, cominciò a urlare: «”Mamma, voglio quella chitarra!” E ebbi quella chitarra per due settimane e poi capii che era reale e doveva essere suonata. […] Ho imparato che tutta la musica, in particolare la musica precedente ai Beatles e agli Stones che avevo ascoltato, proveniva da artisti neri… Chuck Berry, Arthur Alexander, troppi da menzionare. E così sono andato a ritroso fino alle radici afroamericane della musica rock».

La chiusura dell’ultimo podcast è tutta affidata a Springsteen che esegue  una fantastica versione acustica di “Born in The USA”, preceduta da alcune parole che ci fanno riflettere: “È banale ma i tuoi figli ti rendono ottimista. Ti costringono ad essere ottimista. È il loro mondo quello che gli stai consegnando. Non voglio conoscere un genitore pessimista. Se lo sei, hai sbagliato. I miei figli, ringraziando Dio, sono cittadini solidi il cui carattere a quasi 30 anni supera di gran lunga il mio. Quindi io e Patti viviamo nella loro grazia e ne siamo riconoscenti”.

Per ascoltare l’episodio n.8 “Looking Towards American Renewal” clicca QUI e per leggerne la trascrizione clicca QUI

Per ascoltare l’episodio n.7  “Finding Home. Fatherhood” clicca QUI e per leggerne la trascrizione clicca QUI

Per ascoltare l’episodio n.6 “Wrestling With Ghosts” clicca QUI e per leggerne la trascrizione clicca QUI

Per ascoltare l’episodio n.5 “Every Man For Himself: Money And The American Dream” clicca QUI e per leggerne la trascrizione clicca QUI

Per ascoltare l’episodio n.4 “The Loss Of Innocence” clicca QUI  e per leggerne  la trascrizione clicca QUI

Per ascoltare l’episodio n. 3 “Amazing Grace: American Music” cliccare QUI e per leggerne la trascrizione completa cliccare QUI

Per ascoltare l’episodio n. 2 “American Skin: Race in The United States” cliccare QUI e per leggerne la trascrizione completa cliccare QUI

Per ascoltare l’episodio n. 1: “Outsiders: An Unlikely Friendship” cliccare QUI e per leggerne la trascrizione completa cliccare QUI

 

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