16 Giugno 1988: Bruce Springsteen – STADIO FLAMINIO, ROMA

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16 Giugno 1988 – Roma – Stadio Flaminio

IL FUOCO PURO DEL ROCK IN SPRINGSTEEN L’ EROE

ROMA C’ è una corrente speciale che unisce Bruce Springsteen e il pubblico che va ad acclamarlo negli stadi, una esaltante stimolazione reciproca, una sintonia totale e profonda che ha pochi possibili confronti nella pratica del rock. Per trovare qualcosa di simile dobbiamo rifarci ai grandi di ogni tempo: U2, Bob Marley, i Rolling Stones (e neanche quelli recenti, ma quelli degli Anni 60), tutti quelli che hanno capito ed esaltato al massimo livello l’ irripetibile importanza dell’ incontro rituale del concerto. Di questa epica del confronto musicale dal vivo Springsteen si è confermato ancora una volta un vero militante, un partigiano audace e indomabile. E questo vale anche ora, malgrado il concerto che ha portato in questi giorni in Italia sia molto diverso da quello del 1985. In quello prevaleva il messaggio poetico-politico, il contenuto rabbioso della sua storia di eroe del rock’ n’ roll, e in un certo senso anche l’ esposizione pressoché totale della sua storia artistica. Questa volta le cose sono andate diversamente. Abbiamo visto un personaggio alle prese con una trasformazione importante, e per questo tralasciare alcuni dei suoi pezzi più noti e attesi, come The river, Rosalita, Badlands, Thunder road, praticamente i caposaldi, e invece tirar fuori pezzi minori, o comunque poco conosciuti, perfino alcune B-side come Be true, sull’ onda di una scaletta che a tratti ha lasciato il pubblico perplesso. Invece del messaggio, perentorio e galvanizzante, che pure nel concerto c’ era, ha sottolineato il lato sentimentale e quello ludico della sua produzione, così come la voglia di giocare a rifare pezzi di storia che in qualche modo sente affini, da Boom Boom Boom di John Lee Hooker (il pezzo che il vecchio bluesman suona in Blues Brothers) a Born to be wild, preso di sana pianta da un’ altra leggenda videomusicale che è Easy rider. Quello sentimentale era pienamente espresso dai pezzi di Tunnel of love, da One step up a Brilliant disguise, o dai commoventi repechage del precedente album come I’ m on fire, cantato in coro da tutto lo stadio, e invece quello ludico dai tanti remake rhytm’ n blues, e dall’ apoteosi finale di Twist and shout mixata con La bamba, che ha fatto letteralmente esplodere sia lo stadio di Torino sia quello di Roma. Ma certamente il momento più toccante è stato quello di Born to run. E’ il pezzo in cui tradizionalmente Springsteen tocca il punto più alto della sua irresistibile energia. Ma invece di proporla come di consueto in chiave di esplosione rock, su quel testo che è stato per anni un vero inno generazionale, l’ ha cantata, rendendola quasi irriconoscibile, come una malinconica ballad, solo con chitarra e armonica a bocca, in omaggio a quel Bob Dylan che è stato il suo primo fondamentale maestro. Un momento indimenticabile ma anche un segno di cambiamento, della voglia di non rispettare fino in fondo il monumento di se stesso che la fama di epico performer dal vivo gli ha costruito intorno. Cambiamenti, segni di rinnovamento, ma non per questo ha rinunciato a fare presa sul pubblico, ad incitarlo, a riscaldarlo di mille fuochi musicali, a farlo saltare in aria ritmicamente sulle note di pezzi come Glory days, She’ s the one, Because the night, Born in Usa. La festa ha avuto comunque il suo compimento su un crescendo impressionante andato di pari passo al calar della notte. In un concerto come questo, l’ artista rock è l’ incarnazione di una coscienza comune, è il catalizzatore di grandi energie collettive, e che la sua stessa motivazione sia questa lo testimonia il fatto che la gran parte delle sue canzoni fanno riferimento sempre ad un noi che sposta l’ asse della creatività individuale su un piano condivisibile da tutti. Springsteen è un poeta, ma di quelli della nuova era, creati dalla cultura rock e quindi votati all’ essere voce di grandi masse che in questa parola musicale si riconoscono fino in fondo. In questo è la sua forza, così come nel fatto di rappresentare una grande tradizione americana. A conquistarci tutti è la sua innocenza, quella autenticità cui si ha voglia di credere al di là di tutti i filtri imposti dallo show business. Il suo volto è drammaticamente sincero, così come la sua voce, e questo lo rende definitivamente importante in un’ era in cui la leadership in altri settori ha perso ogni credibilità. Se oggi non si vuol più credere al politico, c’ è una purezza rock che mantiene ancora intatto il suo fascino.

di GINO CASTALDO (17 giugno 1988 – La Repubblica)

Setlist

01. Tunnel Of Love
02. Boom Boom
03. Adam Raised A Cain
04. The River
05. All That Heaven Will Allow
06. Seeds
07. Cover Me
08. Brilliant Disguise
09. Spare Parts
10. War
11. Born In The USA
12. Tougher Than The Rest
13. She’s The One
14. You Can Look (But You Better Not Touch)
15. I’m A Coward (When It Comes To Love)
16. I’m On Fire
17. Because The Night
18. Backstreets
19. Dancing In The Dark
20. Light Of Day
21. Born To Run (acoustic)
22. Hungry Heart
23. Glory Days
24. Can’t Help Falling In Love
25. Bobby Jean
26. 10th Avenue Freeze-Out
27. Sweet Soul Music
28. Raise Your Hand
29. Twist And Shout

 

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