Cronaca di una spedizione selvaggia (Springsteen a Zurigo)

A 40 anni dallo storico concerto, ci è sembrato naturale riportare l’articolo apparso a firma Mauro Zambellini sul Mucchio Selvaggio n. 42 del 1981

Un concerto di Springsteen non è uguale agli altri concerti. Per tante ragioni. Prima di tutto, già dal mattino, bisogna sopportarsi le assurde nuove scarpe di Rinaldo, la cravatta démodé di Blue Bottazzi e la cassetta di Dalla che insistentemente Anna infila nello stereo della macchina.
La Svizzera è vicina, pulita e fastidiosamente perfetta. La sporcano le decine di macchine e autobus italiani in pellegrinaggio, che si incontrano all’altezza del lago dei Quattro Cantoni.
Sono tanti i tifosi della E-Street Band, dentro l’Hallenstadion. Quasi il 50% acclamerà Springsteen con accento tipicamente latino. Quale miglior pubblico per un tarchiato italoamericano?
Cercare l’Hallenstadion, quando si è incolonnati in otto macchine, non è cosa semplice. Ci si scontra con una lingua poco malleabile, con l’ottusità di uno svizzerotto, che per un leggero tamponamento chiede in cambio metà della Lombardia più la contea di Camerino, con una segnaletica più adatta alle intermittenze dell’albero di Natale.
Raggiungiamo il Zentrum grazie alle intraprendenza mitteleuropee di Blue e dopo il Zentrum è gioco da ragazzi arrivare fin sotto lo stadio coperto dove è programmato il concerto. I nostri biglietti sono verdi come la speranza, ma questa cade subito quando raggiungiamo i posti numerati: in linea retta il punto più distante dal palco! Dopo una passeggiata sotto il palco, mi accorgo che gran parte dei fans italiani sono confinati nei punti meno graziosi e più periferici dello stadio e pensare che l’organizzazione aveva perfino invitato una rock magazine come “Sorrisi & Canzoni” alla conferenza stampa del boss. Mi piacerebbe proprio sapere le domande rivolte: “Cosa pensi dell’amore???”
Strani scherzi, ma poi neppure tali, del grande circo del rock.
Sorpresi sì ma avviliti no, noi ammucchiati siamo presenti per gustare lo spirito primitivo e sensitivo del concerto lontani mille miglia dai pettegolezzi e le moine style Montecitorio che avvengono dietro le quinte o dentro le stanze degli hotel e rendono improvvisamente grandi piccole cariatidi dall’universo di pastafrolla.
Il pubblico, non più di 7/8 mila, non è quello delle storiche band degli anni 60 e neppure quello della new-wave ma piuttosto una miscela poco colorata di innamorati di rock sanguigno e rythm & blues, di Little Feat, di Tamla Motown, di musica che sia identità ludica e non esibizione di simboli.

Alle 19.05 si spengono le luci a compare Bruce che attacca da solo Factory parlando delle fabbriche di plastica viste dall’autostrada che lo ha portato dalla Germania a Zurigo.
Anna tende a svenire (è una grossa fans di Springsteen, non delle fabbriche) ma Max il biondo la rinviene e la E-Street Band attacca Prove It All Night. Tutti si alzano e abbandonano le proprie postazioni, scavalchiamo, scivoliamo, spingiamo e conquistiamo il diritto di vivere il concerto nel suo giusto spirito.
C’è qualche apprensione dopo la cancellazione delle date inglesi ma svanisce di colpo. L’immaginazione che per anni si è nutrita di bootleg e di cronache riportate è soddisfatta e finalmente è realtà.
Springsteen dal vivo e la più vera e sudata incarnazione dello spirito del rock. Sintetizza nel suo act tutto quanto il rock & roll ha prodotto: emozione, feeling, dramma, compiacimento, power, rabbia e amore.
Sul palco è un vero Jake La Motta del rock. Si muove e salta come un eroe del ring, impugna la chitarra come un Winchester, incita il pubblico ad unirsi a lui nella soddisfazione di ciò che sta facendo.
Attorno a lui i «boys» Tallent e Van Zandt, quest’ultimo in completo nero sembra un becchino francese, e «Master of Universe» Clarence Clemmons, colui che si mangia due grattacieli alla volta, completano il primo piano della stage rispondendo alle continue esortazioni di entusiasmo di Springsteen.
Dietro, in secondo piano, la professione e la precisione di Bittan, Federici e Weinberg completano la scena e sorreggono un lirismo che a volte diventa epico.

L’eccitazione è alta e l’acustica ottima, dopo una drammatica Darkness On The Edge Of Town, Bruce attacca Who’ll Stop The rRin dei Creedence Clearwater e il pubblico lo ricompensa con una ovazione generale a mani alzate.
Sembra incredibile ma quasi tutti conoscono i pezzi eseguiti per cui nei ritornelli si crea un sottofondo cantato che esalta la figura di questo cantautore popolare contornato dal carisma presente in figure simili della musica USA (Guthrie, Presley, Dylan, Young, Browne).
Rende omaggio a Woody Guthrie eseguendo con la chitarra acustica This Land Is My Land e appare chiaro come dentro di lui si rifletta buona parte della cultura e storia americana.
Non è rock della trasgressione il suo anche se le sue liriche pullulano di situazioni “balorde”, queste hanno però una risoluzione compatibile con la tradizione populista dell’ideologia americana. Il suo romanticismo, la sua ricerca della libertà, le sue fughe, conservano lo spirito primitivo e ingenuo dell’avventura così come è stata codificata nell’ american dream.
Ha però la capacità di farle rivivere nel rock con una tale intensità ed un tale senso dello spettacolo che alla fine sembrano stravolte e carica il sogno dell’ascoltatore di contenuti radicalmente deviati. Può essere benissimo per tali ragioni il nuovo Elvis Presley; anche allora il SIGNIFICATO fu ribaltato dall’EFFETTO.

Le emozioni raggiungono l’apice, il rock è allo stato puro quando esegue Badlands e si cala tra le prime file dei pubblico lancinando una chitarra usata come estrema e finale possibilità della voce.
Il sudore scende dalle braccia e incontra il metallo della chitarra, riflette la bellezza e perché no il tono leggendario del concerto. Si chiude la prima parte e ce n’è proprio bisogno.
Quando riprende, Springsteen lo fa con Sherry Darlin’ e con una bella ragazza catturata fra il pubblico, balla, la bacia e la invita ad aspettarlo dopo l’act. Fortuna da rock & rollstar. Noi, comuni mortali, continuiamo a dimenarci sulle sedie. Anche i più “inglesi”, come Glauco e il grande capo lakota perdono le staffe, per non parlare dei biondi Max e Anna ormai virati al rosso per l’eccitazione.
Una sequenza mozzafiato di brani tratti da The River e Springsteen se ne va sugli amplificatori a realizzare la celebrazione estetica della chitarra. Chi non ha posato almeno una volta con quel “simbolo” puntato come fosse la propria forza scagli la prima pietra! Clemmons lo imita, meno agilmente, dall’altra parte del palco facendo la gioia dei fotografi appiccicati sotto.
Arriva Racin’ In The Street, il cui lirismo è pari solo alla commozione e alla bravura di Roy Bittan. Poi è la volta di Backstreets e di Rosalita con cui, tra l’ovazione del pubblico, viene presentata in maniera chiccosa tutta la E-Street Band. È la fine del concerto.
Il bis non si fa attendere ed è Born To Run ad esaltare ancor di più «the spirit of rock & roll », poi con la Detroit Medley Springsteen trascina Clemmons, Tallent e Miami Steve in un carosello rituale di puro omaggio ai grandi interpreti di rythm & blues.
Tutti cantano, anche i muti. Il suono è possente, energico, pulito, nello stesso tempo, Springsteen riesce a comunicare drammaticità e entusiasmo con una generosità al limite dell’incredibile.
Se ne va dopo tre ore di concerto. Penso come sia possibile sostenere un tour di 40 date con un dispendio di energie del genere: è proprio il Jake La Motta del rock! So che ama la Coca Cola, ma i miei pensieri sono molto, molto più maliziosi…
Acclamato concede il saluto finale al “favoloso pubblico di Zurigo” eseguendo Rockin’ All Over The World di John Fogerty terminando con quel suo tipico salto all’indietro a Fender sguainata.
Miglior saluto non poteva esserci per i fans più incalliti. Mi siedo, mi accendo una sigaretta e non aggiungo una parola di più.
Fuori incontro Stefano, un elegante chitarrista milanese, è stravolto. È stato per tutto il concerto nella calca sotto il palco, non ha più un filo di voce ma riesce a dire: “Dio esiste, l’ho visto a Zurigo!”.

Il ritorno è nella notte, in compagnia della pioggia e di qualche blues.

Mauro Zambellini

Setlist:

  1. FACTORY
  2. PROVE IT ALL NIGHT
  3. OUT IN THE STREET
  4. TENTH AVENUE FREEZE-OUT
  5. DARKNESS ON THE EDGE OF TOWN
  6. INDEPENDENCE DAY
  7. WHO’LL STOP THE RAIN
  8. TWO HEARTS
  9. THE PROMISED LAND
  10. THIS LAND IS YOUR LAND
  11. THE RIVER
  12. BADLANDS
  13. THUNDER ROAD
  14. CADILLAC RANCH
  15. SHERRY DARLING
  16. HUNGRY HEART
  17. FIRE
  18. YOU CAN LOOK (BUT YOU BETTER NOT TOUCH)
  19. WRECK ON THE HIGHWAY
  20. RACING IN THE STREET
  21. BACKSTREETS
  22. RAMROD
  23. ROSALITA (COME OUT TONIGHT)
  24. BORN TO RUN
  25. DETROIT MEDLEY
  26. ROCKIN’ ALL OVER THE WORLD

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