Chi Siamo

Il Pink Cadillac Bruce Springsteen Fan Club è sorto nel 1997 all’indomani del primo concerto del Boss a Napoli. Negli anni, è cresciuto fino a diventare il gruppo più numeroso e attivo in Italia, contando centinaia di followers nel nostro paese e all’estero. Il sito “Pink Cadillac Music” (arrivato ai primi posti della classifica dei blog musicali più influenti in Italia) fornisce notizie in tempo reale e informazioni sui tour, gallerie di immagini, traduzioni di testi, bibliografia e tanto altro relativo a Bruce Springsteen.

Come associazione culturale, “Pink Cadillac Music” promuove e cura eventi e manifestazioni a carattere sociale e culturale (musicale, letterario, artistico) che vedono dal 2018 il loro fulcro nelle attività svolte presso il PIT, sede dell’associazione nonché primo centro in Italia e in Europa interamente dedicato a Bruce Springsteen. Il PIT ospita esposizioni permanenti, poster e locandine originali, memorabilia, fotografie, raccolte di magazines e fanzine, un centro di ricerca e un archivio bibliografico italiano e straniero. 

All’associazione “Pink Cadillac Music” si devono partecipazioni a mostre e pubblicazioni e nel 2012 il conferimento della cittadinanza onoraria a Bruce Springsteen della città di Vico Equense.  

PREMESSA

Diceva Larry Katz “Nel mondo ci sono solo due tipi di persone: quelle che adorano Bruce Springsteen e quelle che non l’hanno mai visto in concerto” (Boston Herald).

Ordunque … se è la prima volta che ti imbatti in questa celeberrima citazione, puoi reagire domandandoti:

(Incuriosito) a. : “Perché Larry Katz dice questo?”
(Perplesso)   b. : “che Katz dice questo Larry?”

N.B. invertendo l’ordine dei fattori, non è vero che il risultato non cambi. E infatti:
nel caso la tua reazione istintiva sia b … fermati, non perdere altro tempo, e chiudi la pagina del sito e riprendi a dormire.

Se invece ti senti in qualche modo interessato-coinvolto-incuriosito allora è probabilmente giunto il momento di presentarci.

 

Allora … CHI SIAMO NOI?

NOI CHE … crediamo nell’amore al primo ascolto

Noi che… invece ci siamo arrivati nel tempo ma finalmente ci siamo arrivati

Noi che… dal momento in cui ci siamo arrivati siamo stati colpiti da un’irreversibile deriva emotiva

Noi che… abbiamo i testi di Bruce sul comodino e i biglietti dei concerti nel reliquiario

Noi che…ascoltiamo le parole di Bruce più di quelle della mamma

Noi che… festeggiamo il preconcerto, il concerto e il postconcerto perché ogni scusa è buona

Noi che … ci scambiamo gli auguri di Natale il 23 settembre e dell’Epifania (letteralmente: manifestazione del Divino) ogni volta che Bruce sale sul palco

Noi che… siamo affetti da logorrea ogni volta che si parla di Bruce, da pelledochismo ogni volta che si ricorda un concerto di Bruce e da lacrimismo ogni volta che si intona in coro un pezzo di Bruce

Noi che… ascoltiamo Bruce al buio nella nostra stanza per sentici meno soli o balliamo abbracciati per sentirci un corpo solo

Noi che… abbiamo fratelli in tutta Italia e tutti figli dello stesso padre

Noi che… il nostro misero stipendio ce lo giochiamo tutto nelle trasferte

Noi che… appenderemmo la bandiera del Pink Cadillac anche sulla cupola della Santa Sede

Noi (maschietti) che…riscopriamo una latenza omosessuale prostrati in adorazione davanti al palco

Noi (femminucce) che… abbiamo moti di profonda invidia per le curve della sua chitarra

Noi che…vorremmo avere/essere la sua maglietta fracida di sudore

Noi che…la nostra vita è scandita da un concerto e un altro, e nel frattempo inganniamo l’attesa lavorando e accudendo i figli

Noi che … insegnamo ai nostri figli le parole di Streets of Fire prima di quelle dell’Angelo Custode (VIDEO)

Noi che … conosciamo tutti i testi a memoria o che ci riconosciamo miracolosamente in ogni verso anche se non parliamo una parola di inglese

Noi che… le prime cassette di Bruce se le mangiava il mangianastri e ci toccava riavvolgerle con la Bic. MA PERO’ erano sempre là!

Noi che … in auto abbiamo per pudore anche altri cd, ma che poi finiamo sempre col sentire Bruce

Noi che … venti giorni prima del concerto iniziamo la preparazione atletica e spirituale che manco i Carmelitani Scalzi

Noi che … una settimana prima del concerto rallentiamo l’andatura in macchina, allacciamo due volte la cintura di sicurezza e prendiamo l’aspirina tre volte al giorno perché … NON SIA MAI la MARONNA!

Noi che … il giorno prima del concerto controlliamo quaranta volte i biglietti nel cassetto perché … NUN FACIMM SCHERZ !

Noi che … ci mettiamo in fila tre giorni prima e ci “barbonizziamo” le notti fuori gli stadi di tutto il mondo per finire sempre nel pit

Noi che…una volta nel pit ci riscopriamo mostruosissimi poteri da supereroi, sfidando i limiti umani della resistenza “fisica e idraulica”

Noi che … ci viene la depressione post partum dopo l’ultimo encore

Noi che … non ci spostiamo di un centimetro sotto l’acquazzone di “Firenze 2012” perché è “acqua benedetta”

Noi che … viaggiamo tutti insieme perché “il-bello-dei-concerti-è-anche-questo”

Noi che … se ci chiamano solo “fans” ci vengono le convulsioni perché CI DICHIARIAMO springsteeniani nel corpo e nell’anima, “nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”

Noi che … non abbiamo scelto di essere springsteeniani ma abbiamo scoperto un certo giorno della nostra vita di esserlo

Noi che … saremo Born to Run fino a 100 anni!

Noi che… ci prendiamo fin troppo sul serio ma ci ammazziamo dal ridere

Noi che … in fondo ci diverte essere presi un po’ per matti

Noi che … will keep movin’ through the dark with you in our heart..perchè siamo ormai tutti blood brothers!!!

IN CONCLUSIONE:
Chi LO ama… ci segua!!!!

 

Cinque ragioni per essere springsteeniano

di Paola J.

Dopo aver steso una prima bozza di elenco nella quale comparivano almeno un’ottantina di argomentazioni – da quelle più razionali e “serie” a quelle più emotive e languide – ho provato a sintetizzare dandomi un primo limite entro cui mantenermi: venti motivi per essere springsteeniano, selezionati a fatica da una lunga elencazione stilata di getto, mi sembrava già un numero ragionevole. Tuttavia la lista andava ancora alleggerita, per non rischiare di indurre il lettore al sonno profondo. La sfida – e per chi è springsteeniano ne comprende tutta la portata – è stata quella di contenere il mio estremismo entro un numero “minimo ed essenziale” di punti e battute.Pertanto, escludendo sentimentalismi ed impulsività, in questa insensata esercitazione di scrittura sintetica sono giunta ad identificare “cinque buone ragioni per essere springsteeniano”, che non ambiscono certo a convincere e convertire chi non lo è. E allora? Che senso ha un’operazione del genere? Probabilmente nessuna, se non quella che mi ha offerto l’occasione per ragionare e formalizzare pensieri da sempre pensati – già espressi mille volte e mille volte meglio da chi è realmente del mestiere- ma da sempre confusi nel mio modo così concitato e viscerale di vivere questa passione che alla domanda “perché ti piace Springsteen?”, non sapendo da dove iniziare, mi ha sempre fatto rispondere semplicemente: “Perché è il più grande!”

Ecco, allora, almeno cinque buone ragioni per essere springsteeniano:

  1. Bruce si è fatto carico da sempre dell’eredità culturale e musicale americana, pur non ristagnando in produzione di genere, ma con linguaggi e stili diversi che trovano nella sua coerenza e nella sua onestà intellettuali la matrice comune. Quando agli inizi degli anni ‘70 le onde della psichedelia e del pop si erano ormai attenuate, Bruce rianima un rock ormai boccheggiante, colmando un vuoto culturale, oltre che musicale, e lasciandoci prefigurare il “futuro del rock and roll”. Capolavori come Born to Run e Darkness stanno lì a dimostrarlo. E quando sembra cosa fatta, ci spiazza con le malinconie intimista di Nebraska, con chitarra, armonica e amare riflessioni sul prezzo del vivere dignitosamente; poi una pura sferzata di energia e fiducia con Born In Usa, dove il No Surrender suona tanto come il suo giuramento a mantener fede a un ideale – che alla distanza tutti gli riconosciamo onorato – quanto come esortazione al non mollare, potremmo dire “nonostante tutto”. E poi ancora il più privato Tunnel of Love quando l’antistar Bruce mette in piazza i suoi/nostri problemi di coppia esponendosi in tutta la sua vulnerabilità e fragilità di uomo; e poi ancora un colpo di scena con la separazione dalla E-Street per reinventarsi  ancora una volta stimoli e sonorità; e poi ancora e ancora e ancora, fino al “back to the roots”, con il suggestivo tributo a Pete Seeger che, nel riannodare il filo di un discorso avviato con ilfantasmadi Tom Joad, riprende il più sano e genuino folk americano con tutti i suoi principi e le sue battaglie per i diritti civili. Springsteen inanella una lunga serie di eventi imprevedibili – sorprendendo “ma in fondo non così tanto” chi lo conosce- come uno scrittore che stendendo la sua articolata biografia finisce col rappresentare un immenso affresco di un’epoca in divenire, in cui compaiono tanti personaggi e quotidianità, come fili di una trama di un unico telaio. Ne esce fuori una grande Storia strutturata in tanti capitoli, che solo apparentemente si chiudono con un ”punto e a capo” ma che in realtà sono in perfetta successione. E non si tratta di un ordine temporale: tutto è scandito da un flusso di riflessioni secondo un preciso filo logico. E questo filo logico si chiama coerenza, o anche onestà.
  2. In questa grande storia tracciata da Bruce, ogni pagina è un’eccellenza lirica, intensa e raffinata, che giustifica studi specifici, dibattiti, pubblicazioni, tesi.  Bruce ha influenzato diverse generazioni dall’adole­scenza alla maturità, come i grandi letterati e i grandi poeti. E se qualcuno storce un po’ il muso sull’ultima produzione, si chieda perché gli stadi oggi sono comunque pullulanti di under 30. Sul suo stile letterario si è scritto a fiume, analizzato e scandagliato verso per verso, azzardando paragoni con mostri sacri della letteratura occidentale, rintracciando antecedenti – da Carver, Hemingway e Twain, a Whitman e Steinbeck – e valutandone possibili influssi. Le sue liriche sono spettacolari istantanee della geografia sociale americana, da nord a sud, da est ad ovest, leggibili in tutte le gradazioni cromatiche, equilibri di pesi, contrasti chiaroscurali, pause ed accelerazioni di pathos.  O ancora come nel cinema di Sergio Leone, John Ford e nella disperazione e solitudine dei personaggi dei film di Malick, Bruce ricuce strappi tra la cultura popolare e cultura  “intellettuale”, tra un’arte per così dire “minore” e un’arte per così dire “maggiore”.  In Jungleland, Stolen Car, Thunder Road, The River e in mille altri testi emerge – tangibile e toccante- l’umanità dei personaggi narrati, dove parole e musica, come pennello e colori, danno corposità ed energia ai contenuti. Tuttavia, se il pennello è lo strumento con cui stendere il colore, qui parole e musica hanno entrambe un valore assoluto che ci consente di percepire tutta la fascinazione di un testo prescindendo dall’ascolto della sua melodia, e viceversa, pur essendo parti integranti l’uno dell’altra. Così voce, parole e musica raccontano, emozionano, enfatizzano, drammatizzano o sdrammatizzano senza aggettivazioni o particolari orchestrazioni ma a seconda del timbro e dell’intensità. In sintesi, più di una semplice poesia, più di una semplice melodia, Bruce realizza macchine perfette dove vale – come non a caso sempre accade nelle grandi opere d’arte- la logica del nihil addi.  E in questo sterminato corpus di immagini filmiche, per dirla con Morricone, “ogni ver­so è un’inquadratura, ogni strofa è una scena, [ogni] personaggio [è] ritratto a tutto tondo, colto nel momento decisivo della sua vita”.
  3. Bruce Springsteen ha sempre creduto e dimostrato che la musica può essere uno strumento di riflessione sulla realtà, di denuncia dei malesseri connessi alla difficoltà del vivere, di espressione di un pensiero, di un’epifania, di un desiderio di catarsi. La musica innalza gli assilli del quotidiano a occasioni di riscatto, i limiti a punti di forza, lo squallore di alcune esistenze a scenari di eroica sopravvivenza: nelle storie narrate, ognuno di noi rintraccia parte del propriovissuto prodigiosamente elevato al rango della letteratura e della lirica. Ognuno diviene protagonista di una narrazione che, giusta o sbagliata, felice o dolorosa che sia, vale la pena raccontare e dunque vivere. Bruce canta l’eroico di ogni micro realtà, di ogni esistenza o resistenza, di quelli che vincono e di quelli che perdono, nelle gesta di chi lavora sull’autostrada o in fabbrica, di chi ha perso il lavoro o è ex galeotto; di chi nonostante i disincanti trova ogni sera una ragione in cui credere; di chi ha tutto ma è solo, o di chi è emarginato e ha solo sogni. Bruce non canta degli eroi del Vietnam, ma di chi torna e ricomincia a combattere nuove guerre in una quotidianità altrettanto distorta; di chi resta con coraggio e di chi con coraggio corre via per giocarsi un’altra possibilità. E persino di chi il coraggio non riesce più a darselo. Bruce canta dell’everyman – e dunque di noi – non dall’alto del suo status di rockstar planetaria, ma dai marciapiedi della strada, dalle stanze di motel desolati, dai margini delle città… e noi percepiamo tutta la genuinità del suo racconto perché lui è stato ed è ancora come noi, ha lottato come noi e, quel che più conta, sta ancora dalla nostra parte.
  4. Bruce, dunque è credibile. E lo è perché la sua spontaneità è spiazzante. Lui è così come appare, con la sua vulnerabilità di uomo, la sua sensibilità, i suoi dubbi e i suoi valori.  Bruce è una persona gentile, di cuore, simpatica, con le sue allegrie e le sue malinconie.  E’ quello che non ignora mai i fans sotto il suo albergo per condividerne chiacchiere ed entusiasmi, o addirittura ascoltarne i suggerimenti per la setlist; quello che si ferma ad accompagnare alla chitarra chi suona in mezzo alla strada, tra la gente che poco alla volta sbigottita lo riconosce; è quello che presta attenzione a tutti perché ognuno merita rispetto; quello che si stacca dai vip invitati a Roma per congratularsi con lo chef, i camerieri e con chi è lì non per godersi la festa ma per lavorare; quello che ascolta le storie della gente e ne sente il dolore o la solitudine; quello che non si tira “indietro” quando c’è da fare una battaglia per qualche giusta causa; quello che crede davvero nell’amicizia e nella famiglia; che va a parlare con gli insegnanti dei figli insieme agli altri papà o quello che va al cinema la domenica con tutta la famigliola; quello che se potesse verrebbe anche a casa tua per dividere una cena con te; è quello che chiama ancora la signora Adele sul palco e dice a tutti “questa è la mia mamma”… Bruce non è altro rispetto alle cose che canta. Mille aneddoti di straordinaria normalità affollano la sua biografia, lasciando a bocca asciutta i bramosi di tabloid. Come ha ricordato scherzosamente Bono “Bruce è una rockstar assolutamente insolita, […] non ha fatto le cose stravaganti che la maggior parte delle rockstar fanno. E’ diventato ricco e famoso, senza mai trovarsi in situazioni imbarazzanti per il suo successo. Niente casini per droga, nessuna trasfusione di sangue in Svizzera. […] Nessuna strana acconciatura, nessun abito bizzarro da indossare nei video clip […] Nessun pettegolezzo”. Ed è così difficile restare con i piedi per terra pur volando alto… Volendo concludere con una battuta, potremmo dire che nella vita di tutti i giorni il nostro eroe è un uomo “normale” che vuole semplicemente fare bene il suo lavoro e dà il massimo per riuscirci; mentre noi uomini “normali” – udite udite!!!- siamo extra ordinariamente  gli eroi dei suoi miracolosi racconti.  Da cui, un amore profondo, viscerale reciproco, direi speculare.
  5. Ok:  Bruce “uomo normale”… ma fino a un certo punto, fino a che non sale sul palco. Chi non l’ha mai visto in concerto, non può comprendere: un gigante di 170 cm, una macchina da guerra, un inesauribile erogatore di energia.  Non si tratta della tradizionale iconografia rock che ritrae la star stravolta e posseduta dinanzi ai fan in delirio. Direi di no. E’ qualcosa di assolutamente diverso che rende Bruce un performer unico e irraggiungibile, e leggendario ogni suo show. Si è tentato di descrivere quanto succede migliaia di volte, coniando per ogni occasione termini e metafore diverse. Ma ciò che si consuma ogni volta, tanto in elettrico quanto in acustico, ha qualcosa che ha più a che fare con un rituale catartico, difficilmente formalizzabile, che con un spettacolo musicale. D’altronde quando Bruce dice «Ogni volta che sono sul palco penso: “Cosa vorrei vedere se fossi quel ragazzo della quinta fila?”. E sono lui e me contemporaneamente», non scherza. In assoluta simbiosi con i fans, Bruce si dà letteralmente in pasto al suo pubblico, senza esitazioni, senza forzare entro tempi e setlist preconfezionate la sua dirompente energia, come un fiume in piena che travolge gli argini; senza trucchi o costumi estratti dalla agiografia delle rock’n’roll star; senza farsi scudo di coreografie strabilianti, palchi rotanti o ipnotizzanti giochi di luci. Tutto è essenziale (e, per questo, vero) affidato non dunque a strategiche distrazioni sceniche ma alla sua sola forza fisica e alla potenza travolgente della sua musica. Ma se sul palco c’è un instancabile acrobata, un indomabile animale da palcoscenico che – tra salti, capriole, canti a squarciagola e schitarrate senza pause – rifila ancora quasi tre ore di concerto da cardiopalma in tour da ritmi da cardiopalma, è anche vero che sotto il palco ci siamo noi che, dopo attese inenarrabili, notti insonni fuori gli stadi scandite da appelli e pipì “dietro l’angolo”, siamo come tritolo pronto ad esplodere. Non c’è stanchezza, né avvilimento, solo una tensione emotiva che ci continuerà a sostenere come una droga benefica tutto il tempo dello show. Se poi sei nel pit c’è il valore aggiunto della vicinanza fisica con Bruce, che non ha solo un interesse feticistico, ma ti consente di vivere in modo diretto quanto sta accadendo, apprezzandone i dettagli, come l’intesa tra la band, la carica elettrica sprigionata dal Boss, il sudore e le fatiche, le occhiate divertite, i toni ironici, la professionalità… Il pit è un corpo unico con il palco, compatto e solidale: una gigantesca onda di gioia, un unico cuore pulsante a ritmo di r’n’r, uno spettacolo nello spettacolo, pronto a saltare, a ballare o intonare all’unisono o ad ascoltare in religioso silenzio quando è Bruce che lo chiede, in un’intesa perfetta che si trasmette osmoticamente all’intera platea. Ha detto più di una volta Springsteen: “Io non valuto mai uno spettacolo dalle recensioni dei giornali. Lo so valutare […] se mi addormento felicemente quella notte. Questo è il nostro modo di valutare i nostri show.” Beh! Direi che è anche il nostro…  siamo sempre tornati a casa appagati e ci siamo sempre addormentati felici. Ma proprio tanto, tanto felici.