Bruce Springsteen, 4 luglio 1978 …un giorno da raccontare!

Il 4 luglio 1978 Bruce, accompagnato da Jon Landau e Dave Marsh, si recò agli studios di KMET, ospite della nota DJ Mary Turner, per rilasciare una intervista radiofonica. Bruce era reduce dallo show tenuto tre giorni prima a Berkeley  che, trasmesso on-Air, era stato fenomenale non solo per la durata ma anche per  il debutto live  di  due brani fantastici: “Prove It All Night” e “Paradise by the C”. L’intervista completa – registrata su un cofanetto di due CD intitolato ‘Darkness On The Air’ – vede Springsteen  affrontare molto disinvolto diversi argomenti, dai più personali ai più generali, intavolati senza sosta dalla bravissima conduttrice: le domande spaziavano dalla festa del 4 luglio ad Asbury Park, all’opinione sulla legge sul  limite di età per il consumo di alcolici in America; dalle versioni di  “You Mean So Much To Me” e di “Something In the Night”, alla richiesta di aneddoti divertenti come quello della serata in cui non avendo microfoni vocali, furono costretti a suonare tutti i pezzi in versione strumentale; da racconti di infanzia a quelli  di esperienze artistiche; dalla descrizione di personaggi di Asbury Park ai fuochi d’artificio sopra l’oceano che portarono alla composizione  del brano  4th of July, Asbury Park (Sandy). Dopo aver suonato “Racing In The Street”, Bruce svela anche divertito una involontaria licenza poetica nel brano. Infatti riguardo il verso  “I got a sixty-nine Chevy with a 396 / Fuelie heads and a Hurst on the floor,” Bruce racconta di essere stato contattato da Richie Schultz, un pilota di auto Grand National il quale con grande precisione gli aveva fatto notare che “la  Fuelie teste non rientra in un 396” ma in un 283.  “La cosa mi aveva depresso!” racconta un po’ ironico Bruce, che ammise di aver anche tentato di cambiare le parole incriminate, ma poi si era arreso dal momento che “il [suo] lavoro consiste nello scrivere le canzoni. Non nel correggere i motori”. Racconta anche di aver venduto la sua 57 Chevy in cambio di una Corvette blu notte, e poi passa a parlare del tempo impiegato per registrare Darkness e delle trenta canzoni provate per l’album. Mary Turner domanda infine: “Hai davvero trovato la chiave per l’universo nel motore di una vecchia auto parcheggiata?”. L’intervista si conclude raccontando del debutto dal vivo del “Paradiso by the ‘C'” nello spettacolo di Berkeley del 1° luglio. Bruce rimase a tal punto colpito da Mary, da chiederle in diretta radiofonica un appuntamento e  la notte successiva al Forum le dedicò “The Promised Land”, introducendola con queste parole: “questa è per Mary di KMET, vedete, ragazzi, voi non potete sapere come è…Mary è molto bella e le ho chiesto un appuntamento ieri sera. Non so se lei ha intenzione di uscire con me o no, questa in ogni caso è per lei. “

Intervista a parte, tutta quella giornata del 4 luglio del 1978, alla vigilia dello show al Forum ad Inglewood in California, sarà raccontata in un divertente e appassionato report di Dave Marsh pubblicato su Rolling Stone il 24 agosto di cui di seguito riportiamo uno stralcio.

 

Bruce Springsteen Raises Cain

A true believer witnesses mass conversions, rock & roll vandalism, a rocket upside the head and a visit with God .

di Dave Marsh- Rolling Stone 24 agosto 1978

4 luglio 1978 – Los Angeles

Una delle più popolari canzoni di Bruce Springsteen si intitola  “4th of July, Asbury Park (Sandy).” Che stia trascorrendo la festa dell’indipendenza sulle rive dell’oceano sbagliato è un’ironia che non sfugge a nessuno, compreso se stesso. Los Angeles non è una “terra incognita”, ma Springsteen non vi regna ancora come sulla costa orientale. Forse questa sarà l’occasione giusta per cambiare le cose. Anche se è stato sveglio tutta la notte mixando nastri registrati al suo ultimo concerto (Sabato sera, a Berkeley), Bruce sta in piscina a prendere il sole dalle 11:00. Se Dio avesse inventato un hotel per rock band, probabilmente sarebbe simile al Sunset Marquis, dove Springsteen e la E Street Band alloggiano. Situato su una ripida strada laterale appena sotto Sunset Strip, il Marquis è una combinazione di campo estivo e una comune. Le camere sono disposte intorno alla piscina e gli ospiti del primo piano usano la terrazza della piscina come una sorta di patio. Durante il giorno, la piscina è affollatissima, e di notte è facile riconoscere chi  sta casa dalle luci accese all’interno, dietro le tendine delle porte a vetro. Springsteen, la band, più crew ed entourage, occupano una trentina di camere, tra cui tutte quelle intorno alla piscina. A mezzogiorno, il produttore/manager Jon Landau, Bruce e io ci ritiriamo nella stanza di Springsteen per ascoltare i mix dei concerti di Berkeley. Ci sono due mix con otto minuti di “Prove It All Night”, potente rispetto alla versione ufficiale, e un mix più breve di un pezzo strumentale inedito, chiamato “Paradise by the C”, che apre la seconda parte dei suoi concerti. Anche se attraverso un piccolo lettore di cassette, appare evidente che è in atto qualcosa di straordinario. Da anni le persone chiedono a Springsteen di fare un album dal vivo, e “Prove It All Night” spiega perché. Il brano è considerato il più “facile” di Darkness on the Edge of Town, il suo nuovo album, ma sul palco diventa ciò che il pianista Roy Bittan, per esempio, considera il pezzo più emozionante dello show, con lunghissimi assoli di chitarra e tastiera che suonano come una diabolica miscela di Yardbirds e Bob Dylan. Quando l’intro cede il passo alla melodia della canzone, “Prove It” si trasforma in un ordigno emotivo. Ascoltandolo, ci si potrebbe aspettare che “Prove It All Night” sia un singolo di successo, ma in realtà è solo una grande canzone.

“Paradise by the C” è il suo alter ego. Solo a Springsteen, promuovendo un nuovo album, sarebbe venuto in mente di aprire la seconda  parte dello show con un pezzo strumentale di cinque minuti con il sax Clarence Clemons  e l’organo di Danny Federici, che evocano contemporaneamente Duane Eddy e Booker T. & the M.G.’s.  Clemons entra nella stanza con uno sguardo incredibilmente gioioso sul volto, e quando il nastro finisce, prende Bruce per il braccio e grida, “Tutti in piscina!”.  Il suono successivo è quello degli schizzi d’acqua, e dopo pochi istanti ricompaiono, con i costumi da bagno gocciolanti, a riascoltare la performance. Ben presto, la piccola camera d’albergo è affollata con una mezza dozzina di persone bagnate e allegre. Alle 06:30, Bruce è alla KMET-FM a rilasciare un’intervista on-the-air con la disc jockey Mary Turner. Ci sono un paio di bottiglie di champagne, il che può essere un errore dal momento che Bruce va su di giri abbastanza facilmente. E in effetti, è un po’ sbronzo già quando inizia l’intervista, ma la Turner controlla perfettamente  il gioco. “Quando i miei genitori si trasferirono in California” – Bruce inizia a raccontare quando la Turner gli chiede se davvero conosca  quel “pretty little place in Southern California down San Diego way”, citato  in Rosalita – “mia madre, vedendo me e mio padre litigare tutto il tempo, decise che avremmo dovuto fare un viaggio insieme. Decise che saremmo andati a Tijuana [ride con la sua risata roca, quella riservata alle cose veramente assurde]. Così partimmo ​​in auto e arrivammo ​​laggiù, litigando lungo tutto il percorso…Mentre guidavo io, lui urlava e mentre lui guidava, io urlavo. Comunque, finalmente arrivammo… e comunque, mio padre è il tipo più tenero di cuore che c’è al mondo. In quindici minuti, un ragazzo riuscì a vendergli un orologio che al massimo avrà funzionato per un’ora e mezza… E poi un tizio si avvicinò chiedendoci: ‘Ehi, vi piacerebbe farvi una foto su una zebra?’. Ci guardammo l’un l’altro – potevamo mai crederci,  visto che le zebre sono in Africa-  …così rispondemmo ‘Beh, se hai una zebra, certo che ci facciamo la foto!’.  Quindi gli demmo dieci dollari e ci portò dietro un angolo, dove aveva un maledetto asino con delle strisce dipinte su un fianco… tirò fuori due cappelli…. dicendo “Uno per Pancho, l’altro per Cisco” – lo giuro – e ci fece sedere in sella all’asino per scattare la foto. Mia madre ce l’ha ancora. Ma questo è tutto quello che sapevo della sud California quando scrissi Rosalita”. Questa è la storia più leggera che abbia mai sentito raccontare da Bruce su suo padre. Adam Raised a Cain, del nuovo album, potrebbe aver esorcizzato molti  fantasmi. In alcune delle storie raccontate sul palco, Bruce ha parlato del loro rapporto, in cui il padre emerge come un demone, ma naturalmente, non lo è. In realtà, Douglas Springsteen ha vissuto una vita piuttosto difficile nella classe operaia. Per gran parte dell’infanzia Bruce e la sua famiglia hanno vissuto nella casa con i nonni, mentre il padre si arrangiava con vari lavori – in fabbrica, come giardiniere, come guardia carceraria – senza mai arrivare a $10.000 all’anno. In seguito si trasferirono dal New Jersey a nord della California, dove attualmente il padre lavora come autista di autobus. Bruce conferma che i racconti dei loro conflitti sono veri ma che sono destinati ad essere “universali”. Non è particolarmente propenso a parlare del suo rapporto con il padre, anche se in un paio di canzoni,  in particolare “The Promise” e “Independence Day”, ha affrontato il tema delle difficoltà di comunicazione padre-figlio come John Steinbeck in East of Eden, il film che ha ispirato “Adam”. Bruce ormai è così sciolto durante l’intervista che quando c’è la pubblicità delle Magic Mountain – le più grandi montagne russe del mondo – si entusiasma e comincia a discutere di quelle che ha conosciuto e del suo desiderio di andare anche su queste. “Mi accompagneresti?” chiede alla Turner, di fronte a chissà quanti ascoltatori. La Turner risponde prontamente: “Solo se ci sediamo sui sedili anteriori.” Dopo l’intervista, guidiamo verso la spiaggia di Santa Monica, dove ci attendono pranzo e fuochi d’artificio. Corriamo da Santa Monica Boulevard lungo  la superstrada. E’ come un film di Steve McQueen (Bullitt). Non vivo  un momento come questo da anni. Ma Bruce, che non è alla guida, è determinato a vedere quei fuochi d’artificio. “Andiamo” ripete  più volte “non me li voglio perdere”. E’ come un bambino, ma l’auto si blocca in un ingorgo alla fine della Santa Monica Freeway, da dove possiamo a stento vedere i fuochi d’artificio –  blu, rosso, oro, verde – a cascata sopra l’oceano.  È una notte gelida e fuori c’è festa. La band e i membri della crew tremano per il freddo nel patio, ingurgitano panini freddi (formaggio, prosciutto, tacchino, arrosto di manzo svizzero) e si scolano birra e soda. Bruce decide rapidamente che non gli va bene. Si dirige verso la porta che conduce alla spiaggia. “Andiamo,” si rivolge a tutti  “Andiamo a piedi fino al molo. Andiamo a prendere un hot dog”. E così ci dirigiamo lungo la spiaggia. Il molo è un miglio a sud, e le sue luci sono solo un bagliore all’orizzonte. Durante tutto il percorso ci sono persone che sparano fuochi d’artificio e razzi. Non avremo fatto cento passi che la scena diventata un vero e proprio campo di combattimento. Suggerisco una ritirata strategica verso  l’autostrada. Bruce mi lancia un’occhiata. “Andiamo, qual è la cosa peggiore che può succedere? Un razzo ti colpisce la testa?”. Ridacchia divertito e continua ad arrancare sulla sabbia. I razzi esplodono direttamente sopra le nostre teste, e di tanto in tanto, qualcuno cade vicino a noi. Bruce procede vicino alla riva, dove la sabbia è più dura e camminare è più facile. Qui si svolgono altri tipi di attività: amanti in sacchi a pelo e gente che ricorre all’alcol per combattere il freddo. I razzi, meno ora, finiscono a mare con un fischio o un sibilo e Bruce Springsteen si muove attraverso tutto questo, come una nuvola in un uragano, una forza naturale. Due gustosi hot dog e un’ora di flipper e ci ritroviamo di nuovo lungo la strada di ritorno in albergo. Il tour manager Jim McHale, David Landau (chitarrista di Warren Zevon e il fratello di Jon) e l’agente Barry Bell stanno parlando in sala di Jon, quando Bruce irrompe attraverso le tende a bordo piscina. Il suo volto è incandescente “Stiamo per fare un colpaccio” grida e si dirige di nuovo all’esterno. A McHale cade la mascella per lo sgomento ed esce dalla stanza. “Credo che stiano andando a dipingere il cartellone”, dice David. Il raid non è proprio una sorpresa. Domenica sera, guidando lungo la Strip per vedere The Buddy Holly Story, Bruce aveva  notato il cartellone pubblicitario che incombe su un edificio di sette piani a ovest della Continental Hyatt House. I cartelloni sono un’istituzione a Hollywood – vengono preparati per pubblicizzare ogni album e concerto di rilievo – e questo riproduce la foto di copertina di Darkness, con un taglio pessimo, per promuovere il nuovo album e lo show di domani sera. Appena superato questo enorme monumento, alto quaranta piedi sopra l’edificio, Bruce si era lamentato dicendo: “Questa è la cosa più brutta che abbia mai visto in vita mia”. Il cartellone è a pochi isolati in fondo alla strada. Secondo i piani, Springsteen, Clemons, il bassista Garry Tallent e diversi membri della crew si sarebbero dovuti introdurre furtivamente nell’edificio su cui si ergeva il cartellone. Ma con loro grande sorpresa, l’edificio è già spalancato e l’ascensore rapidamente li porta sul tetto. Lì, McHale in fretta organizza tutto. Ci sono una ventina di bombolette di vernice spray nera, che rapidamente distribuisce a Bruce, Garry e Clarence che con un balzo si posizionano  come dei tappezzieri. Bell si posiziona dall’altra parte della strada per controllare i poliziotti. Al segnale di  McHale, cominciano a scrivere Prove It All Night su  tutto il cartellone da lato a lato, cancellando quasi le scritte sottostanti della foto scura. Bruce sale sulle spalle Clemons  e scrive sopra Night “E Street” . Poi il segnale dell’arrivo della polizia…. Alcuni scendono con l’ascensore, ma Bruce, Clarence e McHale scendono in stile Cagney, giù per la scala antincendio esterna. Era comunque un falso allarme.

Nella hall dell’hotel alle 02:45, Bruce è euforico. “Avresti dovuto essere lì”, raccontando di quanto accaduto come di  un successo di una  battaglia. Era preoccupato di essere scoperto? “No,” risponde. “Ho pensato che se ci avessero preso, sarebbe comunque stato grande!” Si guarda la mano nera di vernice, stivali rovinati dalla sabbia della spiaggia, e ride. “Ecco,” dice. “Prove fisiche. … L’unica cosa è che avrei voluto raggiungere il mio volto, e disegnarci su un paio di baffi. Ma era troppo dannatamente alto. Sarebbe stato un miglioramento artistico.”

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