A quarant’anni da Nebraska, tra Storia, curiosità e leggende

credits FRANK STEFANKO

Ne­bra­ska a ragione viene considerato una delle pie­tre mi­lia­ri della discografia di Bruce Springsteen. Eppure quando uscì – secondo la discografia ufficiale brucespingsteen.net il 30 settembre 1982, secondo altri siti il 20 settembre 1982 – fu il classico disco spiazzante che lasciò i fans prima perplessi, poi a bocca aperta, infine commossi. Fu insomma il disco che proprio non ti saresti aspet­tato dall’icona che infiamma i palchi con la Fender, consacrato nell’Olimpo degli Dei del Rock grazie al successo del suo precedente doppio album The River – arrivato al primo posto delle classifiche americane – e al clamore generato dal tour appena conclusosi dopo ben 141 concerti davanti a milioni di fans in delirio da una parte all’altra del globo. Poi lo si ascolta con attenzione, semmai soli, al buio di una stanza, senza la pretesa di saltare e ballare agitando pugni in cielo, e si riconosce in quelle note asciutte ed essenziali non un semplice demo, ma una scelta opportuna e saggia di scarnificazione del sound e in quei testi così prosciugati da superflue ridondanze, una nuova faccia di Bruce, più intima e oscura, con cui dà voce a sentimenti, paure e personaggi non più solo ai margini della società ma a coloro che la società dichiara addirittura “unfit to live”.

Quando è nata l’idea di Nebraska

Nel 1981, Bruce vide in televisione “Badlands”, il film diretto da Terrence Malick nel 1973 in cui si narrava la storia di cronaca nera di Charles Starkweather e Caril Fugate, una coppia di giovani che trasformò una semplice fuga d’amore in una infinita scia di sangue, uccidendo 10 persone durante il loro vagabondare nel Nebraska e nel Wyoming orientale. Charles, condannato alla pena di morte, fu giustiziato l’anno successivo mentre Caril uscì in libertà vigilata nel 1986 dopo 18 anni di prigione. Springsteen, colpito dalla storia, contattò la giornalista Ninette Beaver, autrice del libro Caril che ne ricostruiva i fatti drammatici, e iniziò a scrivere “Nebraska”, “una canzone che parla di ciò che succede quando le persone iniziano a sentirsi emarginate dalle loro famiglie, dai loro amici, dal loro governo”. [B.Springsteen 1984]

Il resto è Storia, sebbene abbia conservato negli anni una aura di leggenda. Se per le influenze musicali – da John Lee Hooker a Robert Johnson, passando ovviamente per Dylan – e letterarie – da Flannery ‘O Connor a Walker Percy, da Bobbie Ann  Mason a Jim Thomson- , per le storie delle sue canzoni e per la critica ai testi rimandiamo agli scritti di chi ha egregiamente approfondito in merito – da Alessandro Portelli a Leonardo Colombati, da Patrizia De Rossi a Dario Migliorini- vogliamo in questa sede ricordare solo alcuni aspetti molto interessanti legati al concepimento e alla nascita di Nebraska che forse non risultano del tutto noti agli stessi fans.

Il leggendario Teac Tascam a 4 piste

Durante una pausa di The River Tour, tra la fine di marzo e l’inizio di aprile 1981 e subito dopo la sua conclusione, Bruce tornò nel New e Jersey e, stanco dei lunghi tempi trascorsi negli studi di registrazione, decise di ottimizzare le sue energie rivedendo alcuni aspetti delle sue abitudini e modalità di lavoro. Era determinato, soprattutto, a realizzare a casa sua uno studio dove poter scrivere, registrare privatamente e ascoltare le sue canzoni prima di portarle in sala di incisione. In sintesi, l’intenzione di Bruce era quella di creare una serie di demo da solista multicanale, per far progredire le sessioni della band più velocemente di quanto fosse successo per i suoi tre album precedenti. Tra i collezionisti circolano demo in corso di lavorazione del materiale di Nebraska, sebbene siano registrazioni non professionali realizzati attraverso un comune registratore a cassette, in cui Springsteen canta frammenti di canzoni, con arresti manuali del registratore e ripartenze per l’aggiunta o la correzione di parti. Stufo dell’attrezzatura rudimentale, all’inizio di dicembre 1981 Springsteen chiese al rodie, Mike Batlan (N.B. Batlan ha lavorato con Springsteen dal 1973 al 1986. È presente nel film Legendary No Nukes Concert, in particolare alla fine di “Sherry Darling”, mentre insegue Bruce per collegare la sua chitarra, nonché nel video live “Rosalita” di Phoenix 1978 mentre protegge il Boss dalle ragazze che tentano di abbracciarlo e baciarlo sul palco. E’ lo stesso che probabilmente ha diffuso irresponsabilemente dei demo di Springsteen e ha intentato una causa contro di lui negli anni 80*) di allestire un home studio nella stanza degli ospiti della casa di Bruce a “The Ranch House” sul Swimming River Reservoir. Batlan acquistò un registratore a cassette a 4 tracce Teac Tascam (serie 144), due microfoni Shure SM57 e due supporti per microfono. Il suono veniva mixato attraverso un vecchia Gibson Echoplex e uno stereo Panasonic fungeva da mixer. Su due piste era dunque possibile registrare voce e chitarra, sulle altre aggiungere armonica, tamburelli o sovraincidere qualche arpeggio.

Teac Tascam (serie 144)

I demo dopo un paio di mesi, il 3 gennaio 1982, erano già pronti. La leggenda dice che la maggior parte delle canzoni sia stata registrata in un’unica sessione di quel giorno ma lo stesso Springsteen raccontò poi che ci vollero tre giorni (in Songs dichiarerà “non più di qualche settimana”). D’altronde, le canzoni erano quattordici e sembra improbabile che Springsteen e Batlan le abbiano potuto registrare e mixare tutte in pochi giorni, soprattutto perché si trattò di trentanove takes. Batlan affermerà successivamente che la registrazione vera e propria iniziò il 17 o 18 dicembre e si concluse il 3 gennaio, il che sembra più realistico. In ogni caso, Springsteen consegnò a Jon Landau una cassetta composta da quattordici demo più una registrazione dal vivo (non un demo in studio) di “Johnny Bye Bye”. Tuttavia, due o tre mesi dopo, con alcune di queste quindici canzoni già destinate alla E Street Band, Springsteen registrò nel suo home studio per un totale di diciassette brani, due canzoni aggiuntive: “My Father’s House” e “The Big Payback”.

Dai demo all’album

Bruce li portò alla Power Station per registrarli con il resto della band ed è quanto avvenne a detta di Max Weinberg che racconterà di un album elettrico praticamente pronto. Springsteen tuttavia, non era soddisfatto degli arrangiamenti elettrici, anzi, gli divenne presto evidente che la maggior parte di queste canzoni perdeva addirittura efficacia in versione full band. Springsteen avrebbe poi scritto in Songs: “Sono andato in studio, ho portato la band, ho registrato nuovamente, remixato e sono riuscito a peggiorare l’intera cosa”.

Intanto le session per Nebraska si susseguivano senza che si ar­ri­vas­se a un equi­li­brio tra l’in­ten­si­tà dei brani e la po­ten­za della E Street Band. Ad un certo punto, Bruce tornò addirittura in studio con una chitarra acustica per provare a ri-registrare l’album, ma il risultato mancava dell’atmosfera e delle suggestioni che si trovavano su quella famigerata cassetta home made.

Il ruolo decisivo di Toby Scott

Secondo Toby Scott, fu nell’aprile 1982 che Bruce gli consegnò il demo tape originale chiedendogli semplicemente: “Non possiamo direttamente masterizzare questo nastro?”. Bruce sperava che Scott rendesse la qualità del suono di quel nastro abbastanza buona da consentirne la pubblicazione come album solista. Dopo alcune settimane Scott tornò da Bruce con la risposta definitiva: se fosse stata negativa, non ci sarebbe mai stato “Nebraska”, almeno come lo conosciamo noi. Ma Scott riuscì a realizzare quella che sembrava un’impresa impossibile: sì, dunque, il nastro originale si poteva utilizzare, ma la realizzazione dell’album non sarebbe stata cosa comunque facile.  Ad esempio, la vecchia Gibson Echoplex usata come mixer era già sparita da tempo […] Inoltre, lo stereo portatile della Panasonic era caduto in un fiume una domenica mattina ed era stato recuperato dal fondo fangoso e lavato con un getto d’acqua subito dopo nel tentativo disperato di rianimarlo! Le teste di tutti i deck Gibson e Panasonic utilizzate non erano mai state pulite o allineate e, infine, Springsteen aveva portato l’unica copia su nastro nella tasca della giacca jeans per tre mesi. Intervistato successivamente, Toby Scott raccontò: “Tutti i tecnici del suono erano avviliti. Stavamo lavorando per ottenere il miglior suono possibile con la migliore attrezzatura, ed ecco che improvvisamente il nostro artista ci chiedeva di rivedere tutto. Io risposi ‘sì Bruce, potremmo farcela. Non sono sicuro che ti piacerà, ma potremmo’. Avrei potuto dire di no, che il suono non era sufficientemente buono per poter essere utilizzato, ma non è di questo che si tratta. Lavoriamo per l’artista e siamo lì per aiutarlo a realizzare la sua visione, anche se va contro tutte le regole dell’ingegneria. Immagino che questo sia probabilmente parte del motivo per cui lavoro ancora per Bruce dopo tutti questi anni. Così detti quella cassetta a un assistente e dicendogli di copiarla su un buon nastro. Poi la passammo a quattro o cinque diverse strutture di masterizzazione, ma nessuno riusciva a metterla su vinile… c’era così tanto phasing e altre strane caratteristiche sonore, l’ago continuava a saltare fuori dai solchi. Andammo da Bob Ludwig, Steve Marcussen alla Precision, Sterling Sound, CBS. Alla fine, finimmo all’Atlantic a New York, e Dennis King dopo averci provato ci propose di non metterla su disco [lasciandola su cassetta]. Quindi sperimentammo una tecnica diversa, mettendola su disco a un livello molto più basso e sembrava funzionare. Alla fine decidemmo di far usare a Bob Ludwig il suo equalizzatore e la sua struttura di mastering, ma con i parametri di mastering di Dennis. E questo è il master che finimmo per usare. L’album è così grazie a tutti questi fattori: i nastri multipli, le teste sporche, il varispeed… tutto concorre a creare l’atmosfera generale e a realizzare ciò che desiderava Bruce per le sue canzoni. Alla fine, è riuscito a mettere su nastro le sue idee – nel suo ambiente, grazie a un PortaStudio e un paio di microfoni – e quella era l’attrezzatura di cui aveva bisogno per ottenere il suono che stava cercando”.

I titoli di Nebraska

Il titolo dell’album fu scelto tra tre opzioni: “Open All Night”, “3 gennaio 1982” e “Nebraska”. L’album fu pubblicato con solo dieci delle diciassette canzoni registrate. “The Big Payback” apparirà più tardi nel 1982 come b-side di “Open All Night” in alcune parti d’Europa, e la prima versione di “Born In The USA” verrà pubblicata nella compilation Tracks del 1998. Delle cinque canzoni “scartate”, “Pink Cadillac”, “Downbound Train” e “Johnny Bye Bye”, così come la stessa “Born In The USA” furono ri-registrate con arrangiamenti elettrici e multi-strumentali nelle sessions 1982-83 di Born In The U.S.A. e pubblicate su quell’album o su Tracks (“Pink Cadillac” e “Johnny Bye Bye” anche come b-side rispettivamente diDancing in the Darke “I’m On Fire”). Le due canzoni rimanenti (“Child Bride” e “(The) Losin’ Kind”), nonostante siano tra le più avvincenti di tutte le session di Nebraska, rimangono ufficialmente inedite. Quindi ad oggi dodici delle diciassette canzoni di questa session sono state ufficialmente pubblicate nei loro arrangiamenti originali. Fortunatamente, le riprese complete di tutte e quattro le altre canzoni registrate in studio stanno circolando con una qualità eccellente. Takes alternative di alcune canzoni devono ancora emergere.

Nel 1991 l’attore e regista Sean Penn produsse il film The Indian Runner (Lupo Solitario in italiano), pellicola completamente ispirata ad “Highway Patrolman”. I personaggi, le ambientazioni e lo stile narrativo sono una trasposizione fedele della canzone, di cui il film diventa omaggio ed estensione (Cfr. P. Jappelli, G. Scognamiglio, Like a Vision. Bruce Springsteen e il Cinema, Napoli 2015)

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