08-09-1988 – STADIO COMUNALE, TORINO – “Amnesty International – Human Rights Now!” tour

Accadde oggi!

TORINO In sessantamila per applaudire i magnifici sei del rock e per unirsi alla loro universale protesta contro tutte le dittature, palesi e nascoste, che ancora oggi affliggono vaste aree del Pianeta. Il grande concerto itinerante, organizzato da Amnesty International, è approdato ieri a Torino in un caldo pomeriggio di fine estate con le prestigiose voci di Peter Gabriel, Bruce Springsteen, Sting, Tracy Chapman, Youssou N’ Dour e Claudio Baglioni. Un evento musicale diverso dai molti che l’ hanno preceduto anche qui in Italia, per quella sua finalità che ha chiamato a Torino migliaia di giovani. Una risposta corale, impegnata e civile per la quarta delle quindici tappe del Concert for Human Rights Now! E’ stato detto che questo messaggio musicale vuole essere non una retorica e banale celebrazione del quarantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ma qualcosa di più, una vera e propria rivendicazione. Va detto che la scenografia del vecchio stadio Comunale ieri non contraddiceva affatto il proposito: un gigantesco palco incorniciato in due quinte sulle quali era stato dipinto un mappamondo verde in un mare azzurro come il cielo contro il quale si levavano le bandiere di Amnesty con l’ inconfondibile simbolo dell’ uomo in catene.

La grande cornice dello stadio era suggestiva, una gigantesca macchia di colori, un pubblico stupendo, da grandi occasioni. I fans di Sting e del boss, che nella notte avevano vegliato amorevolmente davanti agli alberghi torinesi nei quali un servizio d’ordine rigoroso aveva vigilato sulla incolumità delle star, verso le 13 hanno letteralmente invaso il Comunale, aspettando pazientemente l’ evento, l’occasione irripetibile di un così prestigioso mix di grandi della musica pop. Un’ attesa ben ripagata e, tutto sommato, anche motivata da propositi nobili. Perché nell’ antistadio in molti si sono soffermati davanti alla mostra allestita da Amnesty per ricordare la necessità costante di tenere vivo l’impegno contro tutte le ingiustizie che ancora oggi si consumano ai danni dell’ uomo. Qualche cifra illuminante: oggi, alle soglie del Duemila, ben ottantacinque governi perseguono i reati d’opinione e sessanta praticano la tortura come all’epoca della più bieca schiavitù. Nei pressi di questa mostra a migliaia hanno sottoscritto gli appelli di Amnesty e le petizioni per la liberazione di uomini attualmente in carcere per reati d’opinione, dal Brasile, alla Cecoslovacchia, alla Siria, alla Cina, al Vietnam (tutti casi, questi, di cui attualmente è incaricato di occuparsi un gruppo torinese di Amnesty). Lo sponsor americano Reebok aveva fatto affidamento sulla partecipazione di alcuni prestigiosi nomi della moda e dello spettacolo in una vip area appositamente allestita; altrettanto aveva fatto Amnesty con la Hospitality area destinata ad accogliere politici, uomini di cultura, industriali. Ma ieri non era proprio aria per queste concessioni. Il tipo di spettacolo lasciava veramente poco alla mondanità, per cui non molti si sono accorti che in tribuna c’era solo il sindaco, Maria Magnani Noya e qualche altra personalità locale. Almeno fino a notte, dopo di che alla spicciolata sono arrivati altri esponenti della politica, dello spettacolo, dell’ industria. Pochi per la verità, con un pizzico di vecchia Juventus rappresentata da Bettega e Bonini. Contro la curva Filadelfia si stagliava un cartello sul quale si poteva leggere questo messaggio: We can be heroes just for one day. Eroe di un giorno di settembre come quello di ieri che alle 5 in punto della sera ha visto esplodere lo stadio già alle prime note corali di Give up stand up urlate dai sei che, come a Londra, Parigi e Budapest, hanno esordito insieme, sommersi da un uragano di applausi. E’ toccato poi alla voce libera del Senegal, Youssou N’ Dour, aprire la parte ufficiale del concerto con la sua splendida voce dalle ancestrali tonalità africane. Aria tempestosa C’ era tuttavia nell’ aria una certa elettricità, un nervosismo che minacciava tempesta. Ad alimentare questo clima erano state le polemiche sollevate dalla inclusione di Baglioni nel cast come voce dell’Italia per un concerto dalle forti tinte politiche e dall’ indiscutibile impegno civile. Perché proprio Baglioni? Si erano chiesti in molti. Quali titoli e quali precedenti può vantare? E così quando l’autore di Piccolo grande amore è apparso sulla scena, dopo l’ intervallo seguito all’ esibizione di Youssou N’ Dour, è stato accolto da una bordata di fischi. Mentre volavano sul palco ortaggi e migliaia di mani si levavano in alto con tutte le dita piegate a pugno tranne il medio. Poi, quando un Baglioni, pallido come uno straccio, si è un po’ sciolto sul terreno a lui congeniale della melodica Strada facendo almeno una parte del pubblico ha mostrato meno ostilità. Si sono creati due fronti tranquillamente contrapposti, impegnati ad applaudire e a fischiare. Ma ormai la situazione era irrimediabilmente compromessa e il povero Baglioni, così malamente giocato da chi incautamente aveva spinto per avventurarlo in questo tipo di concerto, ha dovuto a tratti disertare la scena per sottrarsi alle intemperanze di un pubblico che non gli ha perdonato un atto di tardivo coraggio forse non del tutto disinteressato. E quando ha concluso con Ninna nanna e altri motivi non ha neppure avuto il privilegio di farsi applaudire dai vip arrivati allo stadio intorno alle 20. Con parsimonia, forse meno del previsto, con delusione dei cronisti mondani. A quel punto la serata è entrata nel vivo con Tracy Chapman che ha incendiato letteralmente lo stadio, facendo dimenticare la parentesi Baglioni al quale il pubblico ha comunque tributato un applauso. Giusto perché se ne andava ha commentato qualche maligno.

Ma già la voce della Chapman, bella e sofferente, si levava nella sera incipiente con Across the lines accompagnata dal ritmo di migliaia di mani. Solitaria sull’ immenso palco, con la sua chitarra la Chapman ha ipnotizzato il pubblico. Da quel momento la serata ha preso a scivolare senza altri inconvenienti. La Chapman ha proseguito con For my love e poi si sono esibiti tutti gli altri in un crescendo di applausi. Ormai si era instaurato un solido feeling col pubblico e con Peter Gabriel, Sting, e con il Boss Springsteen è stata una vera e propria apoteosi. Il trionfo della musica e forse d’ un impegno civile che ha fatto memorabile la serata di ieri. (9 settembre 1988 – repubblica.it)

Setlist:

  1. Born In The USA
  2. The Promised Land
  3. Cover Me
  4. Working On The Highway
  5. The River
  6. Cadillac Ranch
  7. War
  8. My Hometown
  9. Thunder Road
  10. Because The Night
  11. Glory Days
  12. Raise Your Hand
  13. Born To Run
  14. Chimes Of Freedom (VIDEO)
  15. Get Up, Stand Up (VIDEO)

 

THE E STREET BAND

Bruce Springsteen (vocals, guitar, harmonica)

Roy Bittan (piano, keyboards)

Clarence Clemons (tenor and baritone saxophones, backing vocals, percussion)

Danny Federici (organ, accordion, keyboards)

Nils Lofgren (guitar, backing vocals)

Patti Scialfa (backing vocals, percussion)

Garry Tallent (bass, percussion)

Max Weinberg (drums)

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